Note dell’Autore (alla terza edizione)
Un ringraziamento speciale ai miei genitori:
A mio papà Geminiano, unico maestro di vita che ho mai davvero avuto.
A mia mamma Rosanna, unico punto di riferimento della mia crescita.
Qualche giorno fa stavo viaggiando con la mia auto sulla tangenziale est di Milano, quando passando su un ponte ho girato leggermente lo sguardo e per un istante la vista si è persa nell’orizzonte della città, che ai lati del ponte continuava a perdita d’occhio.
Un attimo dopo, quando ormai quella immagine era scomparsa dalla mia visuale, il mio pensiero si è focalizzato su Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, personaggio nato dalla potente penna di Alessandro Baricco nel monologo teatrale “Novecento”, ma forse più noto come “Il pianista sull’oceano” dall’omonimo film del maestro Giuseppe Tornatore, che a tale monologo si è ispirato. In tutta la sua vita sul Virginian, nave da crociera dove nasce e (allarme spoiler!) muore, Novecento solo una volta ha la tentazione di scendere dalla nave per andare a vedere il mondo e conquistarlo con il suo talento musicale. In quella unica occasione, dopo due passi sulla scaletta di discesa di fronte al porto di New York, al terzo scalino Novecento guarda davanti a sé e si immobilizza qualche istante, per poi tornare indietro sui propri passi e non provare mai più a scendere da quella nave per il resto della sua esistenza. Solo alla fine della storia (altro allarme spoiler!!) Novecento confessa che a bloccarlo su quella scaletta era stata l’immensità di ciò che aveva visto davanti a sé, quella “infinita tastiera” che è il mondo, su cui non avrebbe saputo suonare alcuna musica, perché: “Come si può vivere tanta immensità? Non si impazzisce soltanto a pensarla?”
Ora, io il pianoforte non lo so suonare, che la tastiera sia infinita oppure no, ma mentre ripensavo alla storia di Novecento si è come materializzata in me la convinzione che tanti sono i momenti della nostra esistenza in cui veniamo accecati dall’immensità di quello che ci circonda; immensità che finisce per distrarci da tutte le persone e le cose più vicine a noi, che in modo più o meno importante fanno il percorso di una vita intera sulla nostra stessa nave da crociera.
E subito dopo mi è tornata in mente un’altra frase: “La contorta semplicità dei pensieri di una persona come tante altre, in un mondo di comparse convinte di essere la star”.
E’ stato curioso ricordare che avevo scritto io quella frase, nella quarta di copertina proprio de “Il giorno prima di domani”, libro che nella particolare primavera del 2020 avevo ripreso in mano dopo anni in cui mi ero quasi dimenticato della sua esistenza. Nel periodo più intenso della pandemia causata dal SARS-CoV2, nelle settimane di lockdown (in quei giorni abbiamo sperimentato anche questa nuova espressione!) vissute in reclusione forzata, ci siamo ritrovati a dover rinunciare alle nostre vite “normali” per un lasso di tempo che sembrava infinito, vissuto con la strana impressione che forse niente sarebbe mai più stato uguale a prima (e ancora di questo non ne siamo certi!). Devo ammettere di aver vissuto gran parte di quel periodo in un alienante stato di ipnosi da effetto post-nucleare, mosso attraverso l’idea, da una parte di impegnarmi in una guerra aperta contro il virus, mettendomi a disposizione della task-force che veniva organizzata, dall’altra perso più che altro a riorganizzare l’hard disk del computer e la cineteca dei DVD, con qualche variazione sul tema che comportava un corretto ed ampio uso delle piattaforme di vendita online, teso a placare l’anima consumista che gli anni ottanta hanno innestato, attraverso una serie di alleli dominanti, nel DNA della nostra generazione e delle successive.
Cercando di rimanere al di fuori di semplici e scontate retoriche su quel momento, dopo i primi giorni di distrazione, tra i flash-mob musicali organizzati sui balconi, quello che ha cominciato a mancare, probabilmente non solo a me, è stato l’insieme delle cose più semplici e banali della vita quotidiana, che prendevano importanza crescente proprio nella loro prolungata e continuata assenza.
Così tra un notiziario, un vecchio film e qualche corso di formazione professionale online, che mi permettesse di convincermi che non stavo buttando via completamente il mio tempo, è maturata in me l’idea di riprendere in mano quel libro per rileggerlo, un po’ con lo stesso spirito e con le stesse domande che avevo per la testa quando mi ero ritrovato a scriverlo, parecchi anni prima.
Ho pensato che forse mi sarebbe stato utile ritrovare alcune di quelle parole, anche se sono passate e cambiate così tante cose in questi anni, nella mia vita e nel mondo che ci circonda.
Nel 2008 l’idea e la decisione di scrivere e dare un corpo concreto a “Il giorno prima di domani” venivano da un momento doloroso della vita che è quello di ritrovarsi con un amico che ti sembra felice, soddisfatto, e vive in apparenza una vita normale come la tua e sembra avere gli stessi tuoi problemi e difficoltà quotidiane, ma improvvisamente decide che è arrivato il momento di fermarsi, seguendo purtroppo una via a senso unico che non gli permetterà mai più di tornare sui propri passi. Mentre la tristezza per quella perdita si alternava alla considerazione che mai avevo sospettato in lui un tormento simile, una serie di domande avevano cominciato a passarmi per la testa: quale è il limite oltre il quale fingere soddisfazione per se stessi non è più possibile e si può perdere il controllo nel gestire la propria vita, fino ad arrendersi? Essere felici è sufficiente ad immunizzarci? Ma poi, la felicità, esattamente cos’è?
Ripreso in mano il testo, però, al momento di aprirlo e rileggerlo per rinnovare quelle domande e quei dubbi, mi sono sentito come Novecento al terzo gradino della scaletta del “Virginian” e mi sono fermato, lasciando quella idea lì dov’era, riprendendomi sulla poltrona un posto in prima fila per notiziari, vecchi film e webinar.
E’ stato solo a lockdown finito, al ritorno a casa dopo il passaggio in auto sulla tangenziale e quel momento di empatia con il mondo citato all’inizio, che ho ripreso in mano il libro, rimasto appoggiato sul tavolino del salotto per molte settimane, e ho iniziato a rileggerlo. Una volta finita la lettura ho deciso allora di rimetterlo nella mia memoria, facendo scendere Novecento dalla mia nave personale per tornare ad esplorarla e a viverla questa “tastiera di milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai”, che sono il mondo e la nostra vita.
Perché la felicità non dovrebbe essere poi così difficile da trovare: in fondo “continua a stare lì, dove è sempre stata, da secoli…”, anche se la sua ricerca è alquanto personale perché il bello della felicità è che “non costa nulla, ma non si può comprare!”
E così è nata questa nuova edizione.
Edizione che ha la stessa dedica delle precedenti, nata nel 2008 insieme al testo, ed anche se sono passati tanti anni e sono cambiate tante cose, trovandosi a giudicare il mondo e la vita da angolazioni e punti di vista nuovi, diversi, i punti fermi devono restare: il lockdown mi ha rinnovato questa convinzione!
In queste note, però, ho sentito fosse giusto inserire ex-novo il ringraziamento speciale che avete già letto all’inizio, proprio per il rinnovato e rinforzato apprezzamento per i punti fermi nella vita, visto che senza di loro, mia mamma e mio papà, per me il domani non ci sarebbe mai stato!
Nel rileggerlo ho anche pensato per un attimo all’inserimento di una nuova parte nel testo, perché di certo anche il personaggio di Giulio avrà vissuto in questi anni, nella sua seppur immaginaria esistenza, esperienze nuove che lo avranno cambiato, anche in termini di pensieri e di punti di vista. Ma per lo stesso motivo appena indicato per la dedica iniziale, anche il testo era giusto rimanesse lo stesso, a parte la correzione di qualche refuso e piccole modifiche di alcune frasi che mi è sembrato potessero dare miglior chiarezza, fermo restando che per quel che riguarda i cambiamenti dei pensieri e delle idee di Giulio bisognerà aspettare un eventuale, credo impossibile, “Il giorno prima di domani – 2”!
Mi viene invece in mente, proprio mentre finisco di scrivere queste poche righe, uno dei film che ho amato molto nella mia giovinezza: “L’attimo fuggente”. Nel film l’eclettico professor Keating, interpretato con grande maestria da un eccellente Robin Williams, invitava i suoi studenti a guardare le cose da punti di vista diversi per portare avanti i propri sogni, forse dimenticandosi una cosa fondamentale per riuscire a “succhiare il midollo della vita, senza strozzarsi con l’osso” (citando le sue stesse parole nel film) e cioè che bisogna saper cogliere l’attimo senza perdere mai di vista i punti di riferimento fondamentali, che devono guidare la nostra vita e ci servono da appoggio per non cadere troppo rovinosamente quando si inciampa. Se nel film (ulteriore allarme spoiler!) il giovane Neil lo avesse fatto, forse avrebbe semplicemente finito la scuola indicata dal padre autoritario e poi portato avanti la sua passione per la recitazione, senza drammi, senza vendette, evitando il terribile epilogo della sua storia!
Lo stesso Robin Williams, persona e non personaggio, un giorno di agosto di qualche anno fa non ha saputo ritrovare intorno a sé un punto fermo a cui aggrapparsi per non cadere, quando ha perso l’equilibrio inciampando in un qualche ostacolo.
Che cadere sia più facile di quanto si possa pensare?
Non è forse questa la domanda che mi ha portato a scrivere “Il giorno prima di domani”?
Io risposte universali, definitive e certe non ne ho.
Però, fino ad oggi, l’esperienza mi ha insegnato e mi insegna quotidianamente quanto sia fondamentale avere nella vita dei pilastri di sostegno a cui appoggiarsi e in cui credere, perché maggiore sarà il loro numero più saremo in grado, ogni giorno che passa, di restare in piedi o di riuscire a rialzarci, quando ci capiterà di inciampare durante il cammino.
Ad ognuno, però, il compito di trovare i propri, di punti fermi, facendo tutto il possibile per conservarli e proteggerli in attesa del momento in cui saranno loro a proteggere noi, il giorno in cui l’immensità delle cose che ci circondano cercherà di distrarci e di farci cadere.
(21 luglio 2020)